Ci eravamo lasciati con la domanda su quali fossero i limiti di legge delle emissioni a radiofrequenza, e come fare per verificare che essi siano rispettati.
Come accennato nel post precedente, in Italia la legge N. 381 del 3/11/1998 (entrata in vigore il 2/1/1999) stabilisce all’art. 4 comma 2 il limite massimo che non si dovrebbe mai superare per un’esposizione prolungata (viene specificato un tempo uguale o maggiore a quattro ore): esso è di 6 Volt/metro (sei Volt per metro).
Indipendentemente quindi dalla frequenza emessa, si considera l’intensità di campo elettrico associato a tali emissioni. Anche se l’autorità competente in materia (l’ARPA, Agenzia Regionale Protezione Ambientale) afferma che il cittadino è tutelato da questa legge, avete mai visto qualcuno che controlli periodicamente queste emissioni? Io no. Non ci si deve perciò stupire se, dopo una prima rigorosa verifica da parte degli enti preposti, la potenza possa venire alterata abusivamente dai gestori per aumentare l’area di copertura, dato che ovviamente ciò costa molto meno che installare un nuovo traliccio (evitando quindi proteste e problemi vari con la gente, che non vuole il ripetitore però si lamenta se non c’è campo).
Al riguardo poi di questi fatidici 6 V/m c’è in giro un’ignoranza raccapricciante, specialmente su internet può risultare complicato discernere un sito con informazioni corrette da uno contenente bestialità: mi è capitato dunque di leggere 6 Watt/metro (confondendo dunque i Volt con i Watt). A parte il fatto che semmai dovremmo parlare di Watt per metro quadro, fatte le debite equivalenze questo valore equivarrebbe in realtà a 47,5 Volt/m, cioè un limite circa otto volte superiore a quello consentito dalla legge. I Volt sono una cosa, i Watt un’altra. Altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di due unità di misura diverse. Eppure nessuno si sognerebbe mai di confondere i chili con i metri. Forse l’unico che potrebbe riuscire, con la sua natura dialettica ma anche conciliante, a far convivere le due diverse grandezze, non potrebbe che essere lui: Watter Voltroni. (Va be’, un po’ di sano cazzeggio pre-elettorale ci sta, dài).
Altrove si afferma che tale misura andrebbe rilevata ad un metro di distanza dall’antenna, ignorando che il campo elettromagnetico diminuisce con il quadrato della distanza (se ad un metro misuro un tot, a due metri avrò tot/4, a tre metri avrò tot/9, ancora un metro e leggeremo tot/16, e così via). Ci serve invece sapere quant’è il campo nel nostro soggiorno, o peggio in camera da letto dove dormiamo per ben otto ore (seh, magari!); in altri contesti viene addirittura affermato che bisogna procurarsi una lastra metallica di un metro quadrato e collegarla ad un voltmetro per effettuare la lettura. Tutto ciò potrà disorientarvi se non siete del settore, ma vi assicuro che se chiedessimo lumi al Mago di Arcella forse ci direbbe meno cazzate.
In qualche forum ho anche còlto dell’allarmismo ingiustificato: ma come, in ogni ospedale è esposto un bel cartello che vieta di girare con il cellulare acceso, per evitare interferenze con le sofisticate apparecchiature elettromedicali (eh eh, vedi post sui cellulari in aereo) poi magari si esce fuori e – sorpresa! – si nota uno di questi ripetitori praticamente davanti l’ospedale, acceso ovviamente 24 ore su 24 e irradiando potenze di certo maggiori del nostro piccolo cellulare. Per non parlare dei ripetitori piazzati vicino agli asili.
La legge però è maggiormente cautelativa proprio riguardo questi ed altri siti particolari: le distanze minime dagli impianti infatti aumentano fino a 50 metri, e per quanto detto prima è facile calcolare che il campo emesso varrà 2500 volte di meno che non ad un metro di distanza dall’antenna.
E per quei ripetitori che noi della nostra palazzina abbiamo sdegnosamente rifiutato in assemblea condominiale, solo per poi vederceli piazzati sul tetto della palazzina di fronte? I proprietari di quello stabile hanno accettato il rimborso fornito loro dalla compagnia telefonica, tanto a loro che je frega... Anche se può sembrare strano ai più, chi starà peggio sarete voi e tutto il circondario, meno che… essi stessi!
Come accennato nel post precedente, in Italia la legge N. 381 del 3/11/1998 (entrata in vigore il 2/1/1999) stabilisce all’art. 4 comma 2 il limite massimo che non si dovrebbe mai superare per un’esposizione prolungata (viene specificato un tempo uguale o maggiore a quattro ore): esso è di 6 Volt/metro (sei Volt per metro).
Indipendentemente quindi dalla frequenza emessa, si considera l’intensità di campo elettrico associato a tali emissioni. Anche se l’autorità competente in materia (l’ARPA, Agenzia Regionale Protezione Ambientale) afferma che il cittadino è tutelato da questa legge, avete mai visto qualcuno che controlli periodicamente queste emissioni? Io no. Non ci si deve perciò stupire se, dopo una prima rigorosa verifica da parte degli enti preposti, la potenza possa venire alterata abusivamente dai gestori per aumentare l’area di copertura, dato che ovviamente ciò costa molto meno che installare un nuovo traliccio (evitando quindi proteste e problemi vari con la gente, che non vuole il ripetitore però si lamenta se non c’è campo).
Al riguardo poi di questi fatidici 6 V/m c’è in giro un’ignoranza raccapricciante, specialmente su internet può risultare complicato discernere un sito con informazioni corrette da uno contenente bestialità: mi è capitato dunque di leggere 6 Watt/metro (confondendo dunque i Volt con i Watt). A parte il fatto che semmai dovremmo parlare di Watt per metro quadro, fatte le debite equivalenze questo valore equivarrebbe in realtà a 47,5 Volt/m, cioè un limite circa otto volte superiore a quello consentito dalla legge. I Volt sono una cosa, i Watt un’altra. Altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di due unità di misura diverse. Eppure nessuno si sognerebbe mai di confondere i chili con i metri. Forse l’unico che potrebbe riuscire, con la sua natura dialettica ma anche conciliante, a far convivere le due diverse grandezze, non potrebbe che essere lui: Watter Voltroni. (Va be’, un po’ di sano cazzeggio pre-elettorale ci sta, dài).
Altrove si afferma che tale misura andrebbe rilevata ad un metro di distanza dall’antenna, ignorando che il campo elettromagnetico diminuisce con il quadrato della distanza (se ad un metro misuro un tot, a due metri avrò tot/4, a tre metri avrò tot/9, ancora un metro e leggeremo tot/16, e così via). Ci serve invece sapere quant’è il campo nel nostro soggiorno, o peggio in camera da letto dove dormiamo per ben otto ore (seh, magari!); in altri contesti viene addirittura affermato che bisogna procurarsi una lastra metallica di un metro quadrato e collegarla ad un voltmetro per effettuare la lettura. Tutto ciò potrà disorientarvi se non siete del settore, ma vi assicuro che se chiedessimo lumi al Mago di Arcella forse ci direbbe meno cazzate.
In qualche forum ho anche còlto dell’allarmismo ingiustificato: ma come, in ogni ospedale è esposto un bel cartello che vieta di girare con il cellulare acceso, per evitare interferenze con le sofisticate apparecchiature elettromedicali (eh eh, vedi post sui cellulari in aereo) poi magari si esce fuori e – sorpresa! – si nota uno di questi ripetitori praticamente davanti l’ospedale, acceso ovviamente 24 ore su 24 e irradiando potenze di certo maggiori del nostro piccolo cellulare. Per non parlare dei ripetitori piazzati vicino agli asili.
La legge però è maggiormente cautelativa proprio riguardo questi ed altri siti particolari: le distanze minime dagli impianti infatti aumentano fino a 50 metri, e per quanto detto prima è facile calcolare che il campo emesso varrà 2500 volte di meno che non ad un metro di distanza dall’antenna.
E per quei ripetitori che noi della nostra palazzina abbiamo sdegnosamente rifiutato in assemblea condominiale, solo per poi vederceli piazzati sul tetto della palazzina di fronte? I proprietari di quello stabile hanno accettato il rimborso fornito loro dalla compagnia telefonica, tanto a loro che je frega... Anche se può sembrare strano ai più, chi starà peggio sarete voi e tutto il circondario, meno che… essi stessi!
Infatti come si vede in figura, il lobo di radiazione (tra due righe lo spiego) di queste antenne non è omnidirezionale, cioè non irradia ugualmente in tutte le direzioni: non servirebbe a niente disperdere potenza verso l’alto. Un po’ come quelle insulse lampade da giardino fatte a palla, la cui luce parte inutilmente anche in direzione di lontane galassie. Invece queste antenne sono fatte in modo da focalizzare l’emissione in una direzione preferenziale (larga sul piano orizzontale e stretta su quello verticale, come una specie di foglia di fico d’india): chi sta sotto riceve pochissimo segnale. Pensate al fascio di luce dei fari di un’auto nel buio, studiato per coprire un’area posta alcuni metri davanti l’auto ed orientati leggermente verso il basso: se questa luce vi dovesse servire per scorgere una moneta proprio sotto il paraurti, vi servirebbe a ben poco, vero? Lo stesso accade con i ripetitori, che “illuminano” tutta la zona intorno la quale sono piazzati (ma chi copre l’area sottostante a dove sono piazzati? Un altro ripetitore non lontano da lì, ma questa è un’altra storia. Paura eh?).
Ma Archimede, direte voi, hai fatto passare un’altra puntata senza dirci cosa possiamo fare per sapere se il traliccio davanti casa nostra (o a scuola dei miei figli, o davanti l’ufficio dove passo otto ore o più) trasmetta o meno entro i limiti di legge.
Avete ragione, ma per oggi ho debordato: posterò il seguito prima di quanto possiate pensare.
3 commenti:
Oh, era ora, sig. Tennico, ormai cominciavo a pensare che lei si fosse dato alla macchia (mediterranea, naturalmente).
Il suo documentato elzeviro mi ha solleticato alcune considerazioni che le vado ad elencare.
Prima di tutto in ospedale dicono di spegnere i cellulari con la scusa delle interferenze, in realtà è una copertura, per evitare che uno si metta a rispondere mentre lo stanno operando. Lei sa bene che quando suona un cellulare, esso ha la precedenza su tutto, c'è addirittura gente che risponde durante i concerti, con l'orchestra che si ferma.
Secondo, ho avuto il privilegio di servire questo piffero di paese come uff. art/ca ed era un classico che il maresciallo di turno ti cazziasse quando stavi troppo vicino al radar, ammonendo: "occhio che ti si seccano le palle".
Ecco, quando avesse un po' di tempo, mi piacerebbe che lei approfondisse gli aspetti medico-scientifici di quella frase che non ho mai compreso appieno.
La saluto indistintamente, alla maniera del principe De Curtis.
Diamine, non avevo pensato all'eventualità che il chirurgo mollasse la pinza nella panza per rispondere al rompicoglioni di turno...
Il classico delle palle che si seccano gira anche in tutte quelle ditte costruttrici di tali apparati (se lo lasci dire, se lo lasci, sempre per omaggiare il Principe), ed ha un suo fondamento.
Lo sapremo dopo la pubblicità (anche qui? Nooooooaaaaarrrgghh!)
E comunque a me le palle non si sono seccate...
O ero fuori dal lobo oppure 'sto fantomatico elletrosmog non era così cattivo.
Io mi preoccuperei piuttosto dell'elettoralsmog, il Banana mi sta facendo venire l'orticaria.
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