giovedì 27 marzo 2008

Elettrosmog sì o no: terza parte



Allora, come possiamo sapere se il traliccio davanti casa, scuola, ufficio trasmette nei limiti stabiliti? Purtroppo possiamo fare ben poco, perché prima di scomodare l’ARPA dovremmo avere la ragionevole certezza che questi limiti siano superati, e chi può darci questa certezza se non un sofisticato (e costoso) strumento di misura? Oltretutto pare che l’ARPA avverta prima i gestori telefonici circa il giorno in cui verranno effettuati tali controlli, vanificando l’effetto sorpresa. Un po’ come se la Guardia di Finanza avvertisse prima coloro cui vorrebbe controllare i libri contabili.

Per questo motivo, su richiesta di un amico blogger di vecchia data cui avevano piazzato un ripetitore sul tetto della palazzina di fronte, tempo fa costruii uno strumento economico ma sufficientemente preciso che potesse effettuare tali misure. Niente di geniale, nessuna invenzione, sia chiaro: un banale kit da acquistare e montare nel giro di un paio di sere libere.

Certo, esistono allo scopo strumenti molto più costosi, ma non è detto che siano più sofisticati: scorrendo le caratteristiche tecniche dichiarate dai costruttori, si scopre infatti che si può arrivare ad una tolleranza (l’errore in percentuale sulla misura effettuata) fino al 10%, e sinceramente da uno strumento da svariate centinaia di euro pretenderei un po’ di più. Probabilmente parte del prezzo è giustificato da tutta una serie di funzioni accessorie quali la possibilità di registrare la media delle letture lungo più ore di funzionamento, la possibilità di interfacciamento al computer e altre frocerie del genere. In fondo a me serviva uno strumento semplice, che facesse una sola cosa, possibilmente bene.
È lo strumento che vedete nelle foto, con il quale mi sono divertito in questi giorni a misurare il campo emesso ad alcune decine di metri di distanza dai ripetitori della mia zona.







Per la cronaca, sul terrazzo dell’attico del mio amico rilevammo valori piuttosto oltre il limite, anche se c’è da dire che la durata di questi “picchi” era sempre di pochi minuti. Sarebbe stato il caso di fare una media lungo le quattro ore almeno, ma non avevo tutto questo tempo da perdere, né mi andava molto di star lì a sorbirmi quelle emissioni. Così lasciai in prestito lo strumento all’amico, che per alcuni giorni rilevò sempre valori elevati. Quando avvertì l’ARPA e questi arrivarono (dopo del tempo) con i loro strumenti, stranamente quel giorno era tutto a posto. Di qui il sospetto…
C’è anche da dire che la legge esclude dai rilievi balconi e terrazze, perciò in fondo c’era solo da prendersela in der posto.




Come si vede dalle foto che pubblico, guarda caso in due misurazioni che ho effettuato ho riscontrato un livello superiore di emissioni, anche se di poco a dire il vero (6,6 V/m sotto l’ex torre serbatoio dell’acqua, e 6,9 V/m vicino al mio ferramenta fornitore di fiducia per le mie realizzazioni). Sempre per essere onesti, bisogna riconoscere che due campioni sono un po’ poco statisticamente parlando, inoltre nello strumento potrebbero entrare anche altre fonti di disturbo, come ad esempio i segnali televisivi.

Mentre effettuavo queste misure, tenendo lo strumento con la mano sinistra e la macchina fotografica con la destra per documentarvi il risultato, quelli che passavano facevano delle facce e dei commenti che andavano dal divertito (anvedi ‘sto matto, ma che cellulare strano che c’ha) al preoccupato (ma chi è, ma che sta a prepara’ un attentato?).

Comunque, in linea di massima, ritengo che si possa stare tranquilli. I tralicci sono aumentati nel corso degli ultimi anni, e questo anche se può sembrare paradosale non è un male, perché si creano più cellule base che trasmettono (da qui il nome di cellulare), quindi occorre una minor potenza per coprire il territorio. Io mi preoccuperei di più del cellulare vicino all’orecchio, per dire. Siate brevi (tra l’altro conviene economicamente) e usate l’auricolare il più possibile. Concludo con un po’ di aneddotica basata su esperienze vissute, tanto per fare capire a cosa si può andare incontro in casi estremi.

1) Mentre prestavo servizio nella Marina Militare (eh, sì), un giorno che facevamo delle prove di trasmissione a bordo di un incrociatore con un antenna fortemente direttiva (il discorso del lobo di radiazione, ma questa volta potremmo dire simile al fascio di luce di una torcia) vidi con i miei occhi un gabbiano eseguire un’ardita cabrata troppo vicino a questa antenna, e subito dopo cadere stecchito sul ponte di volo, letteralmente cotto.

2) Sempre in Marina, capitò un giorno che a tutti quelli che avessero stazionato un po’ più del solito nella saletta del fax, bruciassero insopportabilmente gli occhi, con forte lacrimazione.
Fuori della finestra di questa saletta, vicinissima, si ergeva dal giardino sottostante una grande antenna per le telecomunicazioni, simile ad un pennone per le bandiere. Risultò che quel giorno la potenza di trasmisione era stata inavvertitamente aumentata, e che il bruciore degli occhi era dovuto alla generazione di micro-correnti elettriche indotte nel liquido lacrimale, il quale presenta una certa naturale conducibilità.

3) Nella ditta dove lavoravo precedentemente si costruivano radar, di quelli per avere un’idea che vediamo girare negli aeroporti; per evitare di irradiare le abitazioni circostanti e gli stessi dipendenti, in genere a questi radar viene inibito via software un determinato settore (pensate alla fetta di una torta): dove c’è la fetta (le persone), il radar durante il suo giro si spegne automaticamente, mentre nel resto della torta (aperta campagna, mare, zone disabitate ecc.) il radar emette onde radio. Ebbene, un giorno venne accidentalmente invertito questo meccanismo, e ciò che notammo ad ogni “spazzolata” del radar verso di noi, fu lo “sfarfallio” dei monitor dei PC e soprattutto la spontanea accensione (per il tempo della spazzolata) delle luci al neon sul soffitto, senza che nessuno toccasse l’interruttore. Dopo furibonde telefonate ed un improvviso sciopero spontaneo, finalmente si decisero a notare l’errore.

Al di là di questi casi limite, in genere la radiofrequenza in cui siamo nostro malgrado immersi non è così pericolosa (mi riservo qualche dubbio su Radio Vaticana e Radio Maria, ma d’altronde c’è da capirli: la lieta novella va diffusa a qualunque costo).
Inoltre, anche se andassimo a vivere su una remota isola del pacifico, non sfuggiremmo alle “fotografie” radar con cui i satelliti artificiali bersagliano continuamente la Terra, quindi non stiamo a preoccuparci troppo dei tralicci per cellulari.

Questa serie di post ha affrontato la questione dell’elettrosmog ad alta frequenza, ma vi preannuncio che, tempo permettendo, tornerò ad affrontare la medesima questione sul fronte delle basse frequenze (tralicci per elettrodotti, impianti elettrici civili, trasformatori in stand-by, elettrodomestici, radiosveglie etc.).

FINE

lunedì 17 marzo 2008

Elettrosmog sì o no: seconda parte

Ci eravamo lasciati con la domanda su quali fossero i limiti di legge delle emissioni a radiofrequenza, e come fare per verificare che essi siano rispettati.

Come accennato nel post precedente, in Italia la legge N. 381 del 3/11/1998 (entrata in vigore il 2/1/1999) stabilisce all’art. 4 comma 2 il limite massimo che non si dovrebbe mai superare per un’esposizione prolungata (viene specificato un tempo uguale o maggiore a quattro ore): esso è di 6 Volt/metro (sei Volt per metro).
Indipendentemente quindi dalla frequenza emessa, si considera l’intensità di campo elettrico associato a tali emissioni. Anche se l’autorità competente in materia (l’ARPA, Agenzia Regionale Protezione Ambientale) afferma che il cittadino è tutelato da questa legge, avete mai visto qualcuno che controlli periodicamente queste emissioni? Io no. Non ci si deve perciò stupire se, dopo una prima rigorosa verifica da parte degli enti preposti, la potenza possa venire alterata abusivamente dai gestori per aumentare l’area di copertura, dato che ovviamente ciò costa molto meno che installare un nuovo traliccio (evitando quindi proteste e problemi vari con la gente, che non vuole il ripetitore però si lamenta se non c’è campo).

Al riguardo poi di questi fatidici 6 V/m c’è in giro un’ignoranza raccapricciante, specialmente su internet può risultare complicato discernere un sito con informazioni corrette da uno contenente bestialità: mi è capitato dunque di leggere 6 Watt/metro (confondendo dunque i Volt con i Watt). A parte il fatto che semmai dovremmo parlare di Watt per metro quadro, fatte le debite equivalenze questo valore equivarrebbe in realtà a 47,5 Volt/m, cioè un limite circa otto volte superiore a quello consentito dalla legge. I Volt sono una cosa, i Watt un’altra. Altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di due unità di misura diverse. Eppure nessuno si sognerebbe mai di confondere i chili con i metri. Forse l’unico che potrebbe riuscire, con la sua natura dialettica ma anche conciliante, a far convivere le due diverse grandezze, non potrebbe che essere lui: Watter Voltroni. (Va be’, un po’ di sano cazzeggio pre-elettorale ci sta, dài).

Altrove si afferma che tale misura andrebbe rilevata ad un metro di distanza dall’antenna, ignorando che il campo elettromagnetico diminuisce con il quadrato della distanza (se ad un metro misuro un tot, a due metri avrò tot/4, a tre metri avrò tot/9, ancora un metro e leggeremo tot/16, e così via). Ci serve invece sapere quant’è il campo nel nostro soggiorno, o peggio in camera da letto dove dormiamo per ben otto ore (seh, magari!); in altri contesti viene addirittura affermato che bisogna procurarsi una lastra metallica di un metro quadrato e collegarla ad un voltmetro per effettuare la lettura. Tutto ciò potrà disorientarvi se non siete del settore, ma vi assicuro che se chiedessimo lumi al Mago di Arcella forse ci direbbe meno cazzate.

In qualche forum ho anche còlto dell’allarmismo ingiustificato: ma come, in ogni ospedale è esposto un bel cartello che vieta di girare con il cellulare acceso, per evitare interferenze con le sofisticate apparecchiature elettromedicali (eh eh, vedi post sui cellulari in aereo) poi magari si esce fuori e – sorpresa! – si nota uno di questi ripetitori praticamente davanti l’ospedale, acceso ovviamente 24 ore su 24 e irradiando potenze di certo maggiori del nostro piccolo cellulare. Per non parlare dei ripetitori piazzati vicino agli asili.

La legge però è maggiormente cautelativa proprio riguardo questi ed altri siti particolari: le distanze minime dagli impianti infatti aumentano fino a 50 metri, e per quanto detto prima è facile calcolare che il campo emesso varrà 2500 volte di meno che non ad un metro di distanza dall’antenna.

E per quei ripetitori che noi della nostra palazzina abbiamo sdegnosamente rifiutato in assemblea condominiale, solo per poi vederceli piazzati sul tetto della palazzina di fronte? I proprietari di quello stabile hanno accettato il rimborso fornito loro dalla compagnia telefonica, tanto a loro che je frega... Anche se può sembrare strano ai più, chi starà peggio sarete voi e tutto il circondario, meno che… essi stessi!


Infatti come si vede in figura, il lobo di radiazione (tra due righe lo spiego) di queste antenne non è omnidirezionale, cioè non irradia ugualmente in tutte le direzioni: non servirebbe a niente disperdere potenza verso l’alto. Un po’ come quelle insulse lampade da giardino fatte a palla, la cui luce parte inutilmente anche in direzione di lontane galassie. Invece queste antenne sono fatte in modo da focalizzare l’emissione in una direzione preferenziale (larga sul piano orizzontale e stretta su quello verticale, come una specie di foglia di fico d’india): chi sta sotto riceve pochissimo segnale. Pensate al fascio di luce dei fari di un’auto nel buio, studiato per coprire un’area posta alcuni metri davanti l’auto ed orientati leggermente verso il basso: se questa luce vi dovesse servire per scorgere una moneta proprio sotto il paraurti, vi servirebbe a ben poco, vero? Lo stesso accade con i ripetitori, che “illuminano” tutta la zona intorno la quale sono piazzati (ma chi copre l’area sottostante a dove sono piazzati? Un altro ripetitore non lontano da lì, ma questa è un’altra storia. Paura eh?).

Ma Archimede, direte voi, hai fatto passare un’altra puntata senza dirci cosa possiamo fare per sapere se il traliccio davanti casa nostra (o a scuola dei miei figli, o davanti l’ufficio dove passo otto ore o più) trasmetta o meno entro i limiti di legge.

Avete ragione, ma per oggi ho debordato: posterò il seguito prima di quanto possiate pensare.

giovedì 28 febbraio 2008

Elettrosmog sì o no: prima parte.


A grande richiesta, ecco a voi il post sui ripetitori per telefoni cellulari, ma essendomi accorto che questa volta la lunghezza era davvero esagerata, ho deciso di affrontare l’argomento suddividendolo in puntate, spero poche. Vai con la prima.


Molti di voi avranno senz’altro già sentito l’espressione elettrosmog, neologismo che vorrebbe indicare – per analogia con lo smog atmosferico – l’inquinamento elettromagnetico al quale sarebbe soggetto lo spazio che ci circonda, in città come in campagna, soprattutto in riferimento ai ponti radio (o più propriamente ai ripetitori) per la ricetrasmissione dei segnali a radiofrequenza (d’ora in poi: RF) dei telefoni cellulari. I ponti radio veri e propri sono un’altra cosa: spesso hanno antenne paraboliche (ma non solo) e sono usati per veicolare segnali di ogni tipo, da quelli per la TV ad altri per le telecomunicazioni in genere.

Come avrete notato ho usato il condizionale vorrebbe, dato che la comunità scientifica è divisa non solo sugli effetti di queste emissioni sulla nostra salute, ma perfino sul termine stesso (elettrosmog) che, secondo alcuni scienziati (del calibro di Tullio Regge, ad esempio), è una vera e propria frescaccia, sempre per dirla scientificamente.

In effetti questa RF, una volta spento il trasmettitore che l’ha generata, sparisce all’istante non lasciando traccia alcuna sull’atmosfera, l’acqua, le piante o altra realtà fisica, contrariamente al particolato, alle diossine, allo zolfo e al piombo tetraetile dello smog “tradizionale”.
D’accordo, allora forse “inquinamento” non è la parola giusta.

Però non voglio certo arrivare a concludere che l’esposizione ai campi elettromagnetici sia priva di conseguenze: il punto non è se fiumi o laghi si inquinano, il punto è capire se e come queste emissioni facciano male alle nostre amate cellule. Purtroppo nessuno ha una risposta definitiva, ai vari studi effettuati si contesta una scarsa validità statistica, sia come numero di campioni rilevato che come estensione temporale della campionatura (occorerebbero almeno 10 anni su moltissime persone) anche se è stato dimostrato che l'esposizione al campo emesso durante una conversazione media al cellulare innalza (di poco, ma la innalza) la temperatura del cervello. Del resto basti pensare un attimo a come si riesca, con lo stesso principio, a cucinare della carne al microonde di casa: lì sono in gioco un’elevata potenza e una frequenza pure elevata, ma non poi così tanto: il trucco è che si tratta della frequenza a cui la molecola dell’acqua (contenuta nei cibi) entra in risonanza assorbendo energia dal campo RF e riscaldandosi dunque molto rapidamente.

Tutto dipende quindi dalle dosi e dai tempi, e come vedremo anche dalle frequenze interessate: per spiegare meglio il concetto voglio ricorrere ad un paragone forse nemmeno troppo azzardato, visto che la luce è anch’essa una radiazione elettromagnetica. Se in pieno agosto ci esponessimo ai raggi del sole per sette ore consecutive, alla sera avremmo il corpo completamente ustionato; se invece ci esponessimo per dieci minuti, fosse pure l’una del pomeriggio, non ne usciremmo nemmeno abbronzati. Oltretutto le ustioni sarebbero colpa più degli ultravioletti che degli infrarossi, il che si lega al discorso delle frequenze.

Quindi, tornando alla nostra RF, oltre al tempo di esposizione sono importanti anche altri due parametri: infatti più aumentano la frequenza e la potenza della RF, più aumenta l’intensità degli effetti subiti. Senza entrare nei motivi prettamente fisico-matematici della questione, è sufficiente sapere che se due segnali hanno la stessa potenza, ma uno dei due ha una frequenza più elevata rispetto all’altro, quest’ultimo avrà anche un'energia maggiore.
Energia NON è uguale a potenza, come sa ogni fisico. Fidatevi, e se non vi fidate vi spedisco in privato un’esauriente trattazione ricca di formule. Non è una minaccia, è una promessa. ;-)
Ma allora, quali sono i limiti di questa giungla di grandezze fisiche che vi ho elencato, per poter stare sicuri? E come si può fare ad avere una misura di quanto sia nei limiti il ripetitore che ci hanno piazzato di fronte casa? Vi posso anticipare che tale limite è stato fissato per legge a 6 Volt/metro (sei Volt per metro), e a quanto pare abbiamo un limite più severo di quello di diversi paesi europei, ma il post si è fatto lungo e chiariremo il significato di questa espressione alla prossima puntata (nel frattempo, potrei modificare la seconda puntata anche in funzione dei vostri commenti e domande).

lunedì 28 gennaio 2008

Cellulari a bordo degli aerei




Si possono usare i telefonini a bordo degli aerei di linea?

Avvertenza: questo post è lungo in maniera folle (1852 parole, contate da Word): se avete da fare, datemi retta, meglio tornare a leggere con più calma.

Dopo i tanti inconvenienti tecnici, più o meno seri, verificatisi qua e là nel mondo mentre l’aereo era già atterrato o ancora doveva decollare, e dei quali si era sospettata l’interferenza dei cellulari, alla fine si è verificato un incidente che avrebbe potuto essere ben più grave (ve lo
linko di nuovo, hai visto mai qualcuno se lo fosse perso).
Lasciando da parte considerazioni di tipo sociale, vista la maleducazione della gente in ristoranti, treni, teatri ecc. (e quindi già solo per questo sarei a favore del divieto: non può che farmi piacere l’essere risparmiato da suonerie idiote o da conversazioni anche peggiori), la faccenda è potenzialmente ben più seria, come abbiamo visto.

Ho fatto alcuni giri in Rete tanto per saggiare le opinioni e, come avviene per ogni argomento, c’è più di una “scuola di pensiero”. Le chiacchiere però stanno a zero: un telefono cellulare è a tutti gli effetti una radiotrasmittente, operante a seconda dei casi su gamme di frequenza ben precise.
Inoltre mi sono imbattuto casualmente in una trasmissione radiofonica di Radiotre Scienza, dove era intervistata la D.ssa Maria Sabrina Sarto, docente di Elettrotecnica per l’Ingegneria Aerospaziale alla Sapienza di Roma. Mica pizza e fichi.

Mettiamo allora a confronto le chiacchiere e le leggende metropolitane rispetto a quanto dice la scienza, tenendo anche conto che in un sondaggio effettuato da alcune compagnie di volo in merito all’introduzione di tecnologie atte a poter permettere di telefonare con il cellulare sull’aereo, ben il 90% degli intervistati ha risposto che non vuole cellulari a bordo.

Opinione: “Tutte le compagnie sono concordi nel vietare l'uso del cellulare in volo, pur adottando regole differenti: alcune ordinano di spegnere i cellulari appena si varca la soglia del velivolo, altri li tollerano finché si è fermi sulla pista, altre ancora impongono lo spegnimento quando si accendono i motori, e così via, adducendo motivi di sicurezza: le emissioni elettromagnetiche, si argomenta, interferirebbero con gli strumenti di bordo.”

Fatto: "Un cellulare si comporta come una sorgente intenzionale di campo elettromagnetico, quindi irradia tale campo a radiofrequenza nelle frequenze tipiche dei cellulari."

Archimede: analizziamo e spieghiamo le parole della Sarto: innanzitutto, ci dice che la sorgente è intenzionale. Cioè? Prendiamo in esame vari dispositivi (P.E.D.: Portable Electronic Devices, dispositivi elettronici portatili), come ad esempio la Playstation o un computer laptop; al loro interno, chip elettronici di varia natura emetteranno anche loro, per varie ragioni tecniche, piccoli campi elettromagnetici. Però, questi campi saranno molto più deboli rispetto a quelli di un cellulare (nonché operanti a frequenze ben diverse, e anche questo conta). Invece il cellulare lo fa apposta, per così dire, ad emettere un campo più intenso: diamine, è progettato per farlo, per farvi ricevere le chiamate e soprattutto trasmettere le vostre! Ecco che si parla di sorgente intenzionale. Notate, nell’opinione riportata, l’uso delle parole “adducendo”, “si argomenta” e il dubitativo “interferirebbero”. Ma proseguiamo con i fatti, sempre con le parole della D.ssa Sarto:

“…campo che può indurre interferenze sugli apparati di bordo attraverso l’accoppiamento con i cablaggi dell’aereo e con i dispositivi dell’avionica”.

Traduciamo ancora. La parola chiave è indurre: già il buon vecchio
Hertz, giocando con fili ed elettricità, scoprì il fenomeno dell’induzione elettromagnetica. Attaccando e staccando una batteria ad una grossa spira circolare di filo, riuscì a provocare lo scocco di una scintilla tra le estremità di un’altra spira identica posta ad alcuni metri di distanza, e del tutto scollegata da qualsiasi cosa: aveva scoperto ciò che Maxwell tempo prima aveva teorizzato, cioè le onde elettromagnetiche, ovvero la trasmissione di un segnale elettrico senza fili, attraverso lo spazio (in suo onore l’unità di misura della frequenza, simbolo Hz, oggi porta il suo nome). Più tardi anche Marconi si divertirà a stendere fili tra i colli bolognesi, ed inventerà prima il telegrafo senza fili, poi la radio.

Gli esperimenti di Hertz, il telegrafo, la radio di Marconi sfruttavano proprio l’accoppiamento elettromagnetico tra il campo e dei fili metallici. Grazie a questo fenomeno fisico, chi vive a Cesano (RM) può ascoltare comodamente la parola del Signore direttamente nel citofono, per dire, grazie alle potentissime emissioni di Radio Vaticana come pure avere il privilegio di vivere in un comune con una incidenza di leucemie tripla rispetto alla media, sempre per dire. Poi dice che il Papa condanna questo blog. Ma stiamo divagando…

Quindi i cellulari interferiscono, non “interferirebbero”: avete mai lasciato un cellulare vicino ad una radio o ad uno stereo, avvertendo quel tipico t-tr-ttr-tt-r? Oppure, se è un monitor, tutte quelle righe di disturbo? Ecco.

Opinione: “Secondo Lufthansa in media su ciascuno dei suoi voli c'è almeno un passeggero che dimentica il cellulare acceso, eppure i suoi aerei non cadono.”

Fatto: vedi il link sopracitato, anche se non è caduto un aereo Lufthansa. O ci devono per forza scappare i morti, per prendere delle precauzioni?

Opinione: Alcuni piloti che conosco di persona mi hanno confessato di aver dimenticato il cellulare acceso in cabina di pilotaggio, a pochi centimetri da quell'intrico di chip e avionica che consente il miracolo del volo, e sono sopravvissuti.

Fatto: Ma bravi! Rivedi ancora il link sopra e successivi sviluppi, perché pare proprio che fosse stato qualcuno in cabina a lasciare il cellulare acceso. Inoltre “l’intrico di chip e avionica” è piuttosto suscettibile, come abbiamo visto e approfondiremo ancora tra poco, e quello del volo non è affatto un miracolo né opera dello spirito santo, ma centinaia di principi scientifici applicati tutti insieme a quell’oggetto tecnologico complesso che è un aeroplano moderno.

Uno dei cablaggi critici di bordo è il FADEC, dispositivo digitale presente nei motori che serve a controllare l'iniezione del carburante nel motore. Esattamente come succede per le automobili, i motori dell’aereo sono quindi ad iniezione, vale a dire che anche se è il piedino o la manina del pilota che schiaccia sull’acceleratore, come negli aerei degli anni ’30, chi inietta poi effettivamente il carburante è un sofisticato sistema computerizzato che (anche se è uno scenario improbabile, ma mai impossibile) potrebbe scambiare la vostra chiamata per l’ordine di interrompere il getto di carburante al motore. Beh… no, grazie: preferisco vivere.

Opinione: “Eppure alcune compagnie aeree stanno già sperimentando connessioni wireless per i passeggeri!”

Fatto: Bastano pochi milliwatt, e su ben altre frequenze, per realizzare una connessione wireless. Non mi interessa se ti metti a lavorare al computer, mi dà più fastidio e mi impensierisce di più il cellulare. Non insistiamo a paragonare dispositivi diversi mettendoli sullo stesso piano.

Lasciamo ancora parlare la D.ssa Sarto: “Se l’informazione digitale del FADEC è corrotta da un campo elettromagnetico ciò potrebbe anche portare – anche se siamo in un caso estremo - all'interruzione di carburante al motore. Ciò anche se cablaggi così delicati sono ovviamente protetti da schermi collegati a massa e il segnale è di tipo differenziale, quindi molto immune.”

Archimede traduce: in genere, i cavi che trasportano i segnali sono rivestiti (procedendo dall’interno verso l’esterno) da un materiale isolante, da una treccia di sottili fili metallici e quindi ancora da materiale isolante.
La treccia (o calza) di filo metallico costituisce lo schermo, secondo un principio scoperto da Faraday: un segnale elettromagnetico non riesce a “passare” all’interno di una gabbia metallica se la sua lunghezza d’onda è superiore alla grandezza di una singola maglia. In pratica, dovete pensare ad una zanzariera: se le maglie sono larghe 1 cm, passeranno non solo le zanzare ma anche le mosche, mentre magari falene e calabroni saranno trattenuti. Una zanzariera a maglie più fitte non farà passare nemmeno un insetto. Lo stesso accade per i segnali elettrici: una schermatura di un certo tipo potrebbe fermare un tipo di segnale ma non un altro a frequenza più elevata (quindi con lunghezza d’onda più piccola). Il segnale di tipo differenziale, poi, è un ulteriore accorgimento ben noto ai musicisti che devono stendere metri e metri di cavi sul palco senza che si produca quel fastidioso ronzìo nelle casse, ma la trattazione tecnica sarebbe un po’ lunga, per cui “sopravvoliamo”.
Diciamo solo che a volte il ronzio capita lo stesso, come vi sarà capitato di sentire, quindi perché non deve succedere qualcosa di anomalo sull’aereo, e soprattutto perché dobbiamo proprio andarcela a cercare? Ancora con le parole della D.ssa Sarto: “…però c'è anche da dire che i cablaggi invecchiano, ce se ne accorge solo quando capita il guasto perché con chilometri e chilometri di cablaggi presenti su di un aereo un lavoro esaustivo di manutenzione è qualcosa al limite dell'impossibile”.

Leggenda metropolitana: “In realtà il cellulare è vietato in volo perché quota e velocità confonderebbero la rete telefonica appoggiandosi simultaneamente a più di una stazione radio base e permettendo quindi di telefonare gratis, e le società telefoniche sono in combutta con le compagnie aeree per non far sapere di questa meravigliosa opportunità.”

Fatto: Ci mancavano solo questi imbecilli a fomentare un atteggiamento irresponsabile. Poniamo pure che un aereo voli a 1000 km/ora. La velocità della luce, a cui viaggiano le onde elettromagnetiche (perché anche la luce è fatta da onde simili) è di circa 300.000 km/sec., vale a dire a più di un miliardo di chilometri all’ora: secondo voi, un segnale che va un milione di volte più veloce del mezzo da cui è partito o a cui è destinato, ha modo di sentire una qualche differenza? Ecco. Per dare un’idea delle proporzioni, è come lasciare un oggetto in un posto, fare in un’ora un giro di dieci chilometri e ritrovarlo spostato al ritorno di un millimetro. Quindi non fatevi illusioni: la chiamata fatta in volo viene addebitata esattamente come se la faceste da terra.

Opinione: “Per chi vola spesso per lavoro, il tempo passato a bordo, prigioniero e tagliato fuori dal mondo, è uno spreco enorme. Molti frequent flyer non possono permettersi il lusso di essere irreperibili per sei-otto ore di seguito. Potersi collegare a Internet per scaricare e mandare la posta risolverebbe molti dei problemi di noia e di reperibilità che affliggono attualmente i passeggeri.”

Archimede: ma dobbiamo veramente rispondere a un tipo così? Ma portarsi un libro o una rivista no? Rilassarsi, riflettere, dormire, provarci con quella accanto o con la hostess? Approfittare del fatto di non essere reperibili? Mah.

Vi lascio con alcune ultime considerazioni:

gli aerei militari hanno i vetri schermati (è l’unico punto in cui potrebbe penetrare un segnale indesiderato, e guarda caso i militari hanno provveduto);

i cellulari sono vietati anche a bordo delle petroliere o delle navi che trasportano gas infiammabili, e si può indovinare il perché;

i cellulari sono vietati anche negli ospedali in vicinanza di apparati elettromedicali, nonché a bordo delle unità mobili di rianimazione: chissà come mai?

anche nel mio lavoro è vietato l’uso dei cellulari durante alcune fasi di costruzione del satellite; insomma, sicuramente i cellulari hanno frequenze critiche per molti settori: non si vede perché non debba valere per un aereo con delle vite umane a bordo.
Facciamo dunque valere il principio di precauzione, cioè “non sappiamo se può nuocere, ma nel dubbio, evitiamone l'uso”.


mercoledì 23 gennaio 2008

Motivi familiari

Nell'attesa di pubblicare il post sul difficile connubio tra aerei di linea e cellulari, stamane facevo una riflessione: ai tempi (ormai per me lontani) della scuola, nel modulino per le giustificazioni delle assenze alla voce "motivo", quando non si metteva "indisposizione", si metteva invariabilmente: "motivi familiari".

Oggigiorno, con la stessa causale, possono cadere i governi.

martedì 15 gennaio 2008

Tempi, non so quanto moderni


Che due palle, fare i turni. Questa settimana mi tocca la mattina (06:00 - 14:00).

Certo, non è come lavorare alla Thyssen Krupp, per cui facciamo buon viso a cattivo gioco e consoliamoci così, che tanti il lavoro nemmeno ce l'hanno, o ce l'hanno a scadenza come lo yogurt, o se ce l'hanno"fisso" spesso ci muoiono sopra. In fondo m'è andata di lusso, nonostante io sia inquadrato - secondo una logica d'altri tempi - nella categoria dei metalmeccanici: non che la cosa sia disonorevole, anzi giù il cappello davanti a chi si spezza la schiena in fabbrica; il fatto è che mi sembra alquanto inappropriato definire "tute blu" gente come i softwaristi, i tecnici, i sistemisti e gli ingegneri, tutte persone che ormai digitano ad una tastiera di computer (anzi, molti lo facevano già quando i PC nemmeno esistevano) più che maneggiare pesanti chiavi inglesi. Che dire poi su quei quattro soldi di un contratto da tempo scaduto, e per il quale Federmeccanica ci vorrebbe generosamente offrire 120 euro, cioè addirittura più di quanto abbiano richiesto le organizzazioni sindacali (117), almeno stando ad alcuni TG in malafede. Che infatti si dimenticano di dire che gli stessi 120 euro sarebbero in realtà spalmati su 30 mesi, rendendoli di fatto pari a 96. Poi dice che uno li manda affanculo.


Ah, a proposito di amene destinazioni cui spedire certe persone, volevo solo dire a Crucco Sedicesimo che se lui condanna questo blog, è anche vero che molti condannano lui: un certo Galileo Galilei Linceo ancora ringrazia per il trattamento ricevuto.

Volevo anche aggiungere alla lista quelli che hanno trasformato un handicappato in un avvantaggiato, nonché quelli che insistono a chiamare gli inceneritori termovalorizzatori, e quelli che continuano ad informarmi delle faccende private della coppia Sarkozy - Bruni.

Per finire, un link per un'amica il cui figlio da grande vuol fare l'astronauta. È in inglese, ma del resto il primo passo è proprio l'ottima conoscenza di questa lingua, per cui...

Lo so, vi ho riempito di argomenti e di link, ma avrò poco tempo per scrivere altro in questi giorni. Spero almeno di riuscire a far visita agli altri blog.

lunedì 3 dicembre 2007

Sondaggendum


Sondaggendum, cioè sondaggio-referendum. Abrogativo, come al solito in Italia.
Non si possono tenere in piedi due blog: perlomeno, due blog gemelli nei contenuti, se non nella forma. Oltre ad essere un inutile spreco di spazio web, porta via il doppio del tempo e costringe ad interfacciarsi con due diverse platee di pubblico, e scusatemi se vi chiamo pubblico.

L'altro blog l'ho messo su con lo stesso titolo sulla piattaforma Splinder, per venire incontro agli amici di là, e questo qui avrebbe dovuto essere destinato alla chiusura, come avevo accennato qualche post addietro (tra l'altro se avessi voluto far perdere le mie tracce a qualcuno, come mi si è velatamente accusato, mi sarei guardato bene dal dargli lo stesso identico titolo, e conservare più o meno lo stesso nickname: diavolo, bisogna essere tonti per ignorare le capacità di Google!).

Il punto ora è che non me la sento di staccare la spina a questo blog negletto, questa che è stata la mia prima "casa" sul web. Rimangono dei post che molti, con mia sorpresa, hanno trovato interessanti se non addirittura utili. Qualcuno tuttora capita qui e vi lascia ancora commenti: che fare? Ecco, lancio un sondaggio a chi eventualmente naufragasse da queste parti: cancello questo blog o lo lascio in piedi, magari diversificandolo dall'altro? A voi l'ardua sentenza.